6 aprile 1986
Non si è più, finalmente, la rara avis d'uno stormo evanescente a intuire nella scultura un degno futuro, rapportabile per qualche verso ad un passato storico e grande (tale pur a non voler astrarre da certa statuaria ovvia, in particolare della seconda metà dell'Ottocento e della prima del Novecento, di piglio e cipiglio retorici, apologetico-risorgimentali o similari). Ad ogni buon conto hanno preso da un po' di tempo a moltiplicarsi le ordinazioni pubbliche di rassegne d'opere plastiche, faccenda che ha toccato la provincia aretina più ascosa (non però meno nobile), Civitella in Val di Chiana verbigrazia, e tanto per non uscir troppo di zona. Ragioni che non staremo qui a ripetere, del resto facilmente intuibili, han fatto sì che la scultura non sia degradata ad attività di massa come la pittura, peraltro questa essendo ormai, e non soltanto nel suo manifestarsi peggiore, scappata dalle mani degli autori e passata nelle menti di critici che la sballottano a piacimento, fino a predisporne, pianificarne indirizzi e tendenze e poetiche;
critici che guardano e hanno guardato non già alla qualità estetica della loro 'protetta', sibbene all'estensione ed al consolidamento di un «power» (o potere) del tutto individuale, personale.
Polemico, toscano, ovvero figlio d'una terra dante diritto anche ai non aretini ad esser «botoli ringhiosi», da un redivivo Poggio Bracciolini ci sarebbe da aspettarsi un nuovo bersaglio per il suo Contra hypocritas; bersaglio fornito dagli atteggiamenti di quei critici che s'è detto, nuova razza, addirittura «genos khryseion», di mercanti e di sofisti nel tempio dell'«arte» (o di una cosa di tal nome). E probabilmente a dare aiuto a Poggio provvederebbe Isidoro, per cognome Del Lungo e altro sagace umanista, non di Terranuova però d'una contrada assai vicina, analoga per geografia, tradizione e cultura. Sia come sia, dopo queste metaforiche schioppettate veniamo all'ergo, ovvero a Giuliano Azzoni, alla scoperta di un inedito, e non solo per noi.
Autodidatta, con una passione per lo scolpire inveterata, coprente un bell'arco della sua età di trentunenne, Azzoni dichiara i suoi amori (e chi, uomo e/o artista, non ne ha?) senza infingimenti: lo svizzero Giacometti d'abord, eppoi Wotruba, Brancusi, Marini. Ad ogni modo nel suo attuale, angusto atelier-deposito (prossimo a venir trasferito in altra sede, più ampia e con la disponibilità di spazi en plein air) quel che colpisce lo sguardo, ad una prima, rapida ed acritica occhiata, è una foresta di donne che sembrano appartenere all'etnia di quegli «altissimi negri» (così suonava una canzone turistica-balneare dell'Italia impegnata nel Kitsch) che si chiamano Vatussi. Sono in legno, ed hanno ventri e glutei pronunciati queste Veneri longilinee, 'gotiche', tanto proiettate in verticale quanto le omonime steatopigie appaiono tozze e larghe.
Scrivere che uno scultore è un 'patito' della materia, anzi delle materie, ha il tenore d'una verità non lepida, più che
anale, del tipo di quelle che s'afferma piacessero al signore di La Palice (`lapalissiamente' vivo un quarto d'ora prima di morire). Tuttavia s'incontra chi la materia ama di più e chi di meno. E vi sono pure coloro che, per via di routine, d'età, di stanchezza e d'altro, hanno smesso d'amarla e d'indagarla, limitandosi a licenziare dei bozzetti che laboratori specializzati, in pantografi ed ulteriori acconce macchine, si preoccuperanno da `delegati' di traslatare nelle dimensioni e nella sostanza desiderate. Lontani sono i giorni di quello scultore, un sommo, che, calato quasi nei panni di Vulcano, seguiva ed eseguiva di persona anche le fusioni in bronzo sino all'ultimo istante, ché smettere avanti lo paragonava ad aver cominciato a fare l'amore per poi, sul più bello, lasciar la conclusione
ad un altro.
Il caso della 'delega' non vale affatto per Azzoni, che ha un suo intimo, continuo, esaltante rapporto con il legno e la pietra. Materiali, codesti, sui quali egli si 'precipita', quasi preso da una specie di raptus, da una sorta di `estetico furore', ogni volta che ha ricevuto delle `illuminazioni' visuali, ha subito l'impatto con un quid per lui d'inattesa pregnanza. Un bassorilievo arcaico; uno stemma, un'arme abbaziale; i motivi. decorativi d'un fregio architettonico; la grande vite di un antico torchio oleario; una leggenda esotica; l'occasionale 'colloquio' intavolato con l'opera di un collega; l'iconografia d'un libro, d'arte o no: ecco un veloce, incompleto excursus fra gl'incontri suscettibili d'aver stimolato ex abrupto la capacità di recezione, la fantasia, la creatività dello scultore terranovese. Insomma Giuliano non è solito lavorare a freddo; le forme ch'egli imprime ad una data sostanza sono l'immediato frutto d'una mano e d'una mente agitate e agite, ripetiamo, da una 'provocazione', da uno stato emotivo, da una premura dell'istinto.
In virtù di quanto sopra Azzoni dunque non dispone, almeno non dispone finora, d'una poetica motivata, ragionata. Il che non sminuisce, al contrario, la portata delle sue realizzazioni, le cui qualità e originalità si debbono proprio ad un propellente `irrazionale', a genuini Spieltriebe (o impulsi ludici).
Globalmente la produzione del nostro assiduo homo faber ha aspetti 'eclettici'. Differenti soggetti -da immagini matriarcali e di femmine giunoniche (sollecitanti la fecondazione) a curiosi `marchingegni'; a simboli fallici molto stilizzati, ben diluiti nel confronto col vero; a un'allogena con anfora; all'individuazione e localizzazione di un ovulo- sono da cogliervi tra figurazione ed astrazione; codesta, grazie ad una costante molle lirica, per nulla denunciando rigorismo e rigidità geometrici. Non di meno la varietà rinvia senza soluzioni di continuità all'essere umano, alla sua corporeità, al suo lavoro. Singolare, per quanto ricorda le passate fatiche dell'uomo, l'imitazione, da parte di Giuliano, degli elementi di attrezzi lignei tradizionali, in uso una volta nel mondo
contadino; elementi dei quali, in una sorta di contaminatio, egli talora si serve, quasi fossero dei piedistalli, per allogarvi sopra le pietre da lui scolpite. E non si hanno dubbi circa la vivacità di tali `commistioni', il potere di suggestione derivante da questi 'sponsali' fra la memoria d'oggetti dell'ieri e una realtà odierna, fra il 'preesistente' e il fattuale di chi opera e pensa ora, hic ed nunc.
Siamo, concludendo, alle prese con un talento in fieri sì, ma per diversi lati già ben sviluppato. In altre parole, a Giuliano Azzoni gli atouts non difettano, e la padronanza d'un gioco che li sfrutterà adeguatamente, uno per uno, è -ne accarezziamo l'idea- solo una questione di tempo.